Il commento di Gianpaolo Ranocchi di stamani sul Sole24ore ci trova perfettamente d’accordo, ma l’impressione è che il nostro Fisco non impari dagli errori, anzi…
A ennesima nuova scadenza fiscale, quella della comunicazioni delle liquidazioni Iva , anche questa volta è corrisposta l’ennesima proroga, per l’ennesima volta all’ultimo minuto. Soluzione Italica del problema o sintomo di un malessere più profondo?
I tempi in cui gli adempimenti fiscali ai esaurivano in un paio di invii cartacei l’anno, sembrano, purtroppo, distanti anni luce ma in realtà risalgono solo a un paio di decenni fa. Il progressivo avvio della rivoluzione “telematica” avrebbe dovuto avviare un processo di semplificazione e garantire un concreto baluardo contro l’evasione fiscale. Vi è seriamente da chiedersi se gli obiettivi sono stati raggiunti. Oggi imprese ed operatori tributari devono fare i conti con un’infinità di scadenze non annuali ma mensili che poco hanno a che fare con il concetto di semplificazione. E a sentire i dati diffusi annualmente non sembra che i numeri dell’evasione fiscale stiano regredendo. Anzi.
In questo contesto l’esperienza ha insegnato che troppo spesso le scelte delle comunicazione preventive adottate in campo fiscale per agevolare i controlli sono state estemporanee, frettolose e confuse ed hanno contribuito a creare il clima di malessere che oggi si respira. Basti pensare, solo per citarne una, alla famosa “comunicazione dei beni ai soci” che sembrava essere la soluzione finale per intercettare le effettive società di comodo ma che poi invece si sia rivelata un clamoroso flop al punto di essere stata soppressa a pochi anni dal varo. Tempo e denaro sprecato che avrebbe potuto essere meglio impiegato da parte di tutti.
C’è poi stata la scelta di appaltare all’esterno e in particolar modo agli intermediari abilitati, molte attività tese ad agevolare i controlli degli uffici se non addirittura le stesse verifiche che dovrebbero essere dell’amministrazione finanziaria. Scelta delicata e discutibile visto che la linea di demarcazione tra la collaborazione fattiva fisco-contribuente e l’ammissione di incapacità da parte degli apparati statali è molto sottile. Ma non vi è dubbio che si è rafforzato in capo agli operatori tributari il sentimento di disagio ogni qual volta è stato loro imposto un nuovo adempimento obbligatorio in quanto chiamati a fare il lavoro del Fisco senza avere spesso la possibilità concreta di ribaltare sui propri clienti i costi dei servizi. Oltre a doversi sobbarcare gli oneri economici necessari per restare sul mercato (software, aggiornamenti, personale qualificato), ormai gli studi professionali sono travolti dalle scadenze ed annientati nella possibilità di offrire una consulenza qualificata ai propri clienti in quanto quotidianamente travolti da un’attività di travet. Per nulla semplificata nei contenuti ma certamente moltiplicata nella quantità di scadenze da gestire e di informazioni da dare e per questo sempre più a rischio di errori e quindi di sanzioni. È inevitabile che una nuova scadenza in questi contesto rischi di diventare un problema, soprattutto se si colloca in un periodo di lavoro particolarmente caldo.
Infine l’italica aspettativa che rasenta la certezze del “tanto arriverà la proroga”. Perché per quasi tutti gli adempimenti, soprattutto se nuovi, l’esperienza ha insegnato che il termine perentorio il più delle volte è invece solo ordinatorio. La scadenza per i versamenti dichiarativi negli ultimi anni regolarmente rinviata ne è stata la miglior testimonianza. Una sorta di minaccia, quindi, mirata a raccogliere quanto più possibile nel termine “breve” pur sapendo che tanto poi ci sarà una nuova finestra. D’altro canto il concetto di “perdono” è quanto mai radicato nella nostra cultura e quindi una proroga non si nega a nessuno.
GIANPAOLO RANOCCHI PER IL SOLE24ORE