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INTELLIGENZA ARTIFICIALE E PROFESSIONISTI

Trascrivo e condivido in pieno l’articolo del collega GIANCARLO ALLIONE pubblicato su EUTEKNE il 24 maggio 2024 sulle tante voci che circolano sull’Intelligenza Artificiale. C’è tanto da capire e su cui riflettere…

Il dibattito sull’intelligenza artificiale comincia ad essere articolato. Non è questa la sede per affrontare il tema dell’incremento mostruoso dei consumi energetici (i dati effettivi sono al momento in modo piuttosto inquietante ancora di fatto tenuti segreti), o delle conseguenze sociali (disoccupazione indotta) o di incremento potenziale delle attività criminali.

Proviamo piuttosto a concentrarci sui reali effetti che l’introduzione dell’intelligenza artificiale sta avendo nell’ambito professionale, cercando di superare l’effetto “wow” che indiscutibilmente produce un motore di AI generativa. Savino Gallo (si veda “L’AI un concorrente «reale» per i professionisti” del 17 maggio 2024) ha dato conto di una ricerca secondo la quale il 25% degli intervistati sostituirebbe il proprio professionista con un motore di intelligenza artificiale.

È evidente che, chi ha risposto così, di certo non ha mai provato a risolvere un problema vero utilizzando bot anche evoluti. L’effetto criceto che corre nella ruota, almeno per la mia esperienza personale, è stato praticamente una costante.

La totale spersonalizzazione del rapporto si tira dietro quale corollario diretto la totale non assunzione di responsabilità. Se il bot sbaglia o non fornisce risposte, chi risponde? Farai una causa, se va bene, a qualche limited di Seattle e, se va male, a qualche indirizzo internet delle Bahamas? Davvero sorprendente ed emblematico, in proposito, il recente caso di una compagnia aerea che, chiamata a risarcire un utente per le informazioni errate fornite dal proprio chatbot, ha scaricato la responsabilità sul bot stesso in quanto ritenuto dalla compagnia un’entità separata dotata di autonoma responsabilità per le proprie azioni (?!).

Vi è poi il tema enorme dell’affidabilità delle risposte. È di fatto impossibile controllare il 100% delle risposte fornite da un sistema AI. Lo stesso ChatGPT dichiara sul suo sito che le risposte possono contenere errori e invita a verificare. Se una risposta però è attendibile al 98%, in un contesto professionale vero e serio non serve a nulla. O posso prendere e fare quello che la macchina mi suggerisce, oppure se devo controllare l’output, anziché “n” documenti, semplicemente ne dovrò leggere “n+1”.

Copiare da uno è copiare. Copiare da molti è fare una ricerca, copiare da tutto il mondo è l’intelligenza artificiale. Proprio perché di intelligente non hanno nulla, i motori di intelligenza artificiale sono “solo” in grado di sintetizzare una quantità mostruosa di informazioni, ma se nessuno gliele fornisce, nulla possono. I motori di intelligenza artificiale vanno dunque istruiti e, sotto questo profilo, i tool attualmente disponibili sono furbissimi. Attraverso l’interazione spinta con l’utente (dialogare con una macchina che ti risponde è per altro uno degli elementi più accattivanti) il sistema impara e impara veloce.

Non è quindi difficile immaginare schiere di volenterosi professionisti che dedicano e dedicheranno milioni di ore, e forniranno documenti, gratuitamente ai vari sistemi, che poi una volta addestrati a puntino saranno rivenduti a loro e ai loro stessi clienti.
Lo schema ricorda quello del Registro Imprese, dove centinaia di migliaia di operatori forniscono informazioni strutturate a un sistema che, previa elaborazione automatica, poi te le rivende.

Non si deve banalizzare questa tecnologia, vero. Va conosciuta in modo approfondito per poterla utilizzare in modo appropriato e profittevole, evitando di abboccare alle sirene commerciali che la propinano come salsa buona per ogni pietanza. Il rischio è di farci carico, come è accaduto per la fattura elettronica, di costi ulteriori solo per spostare il lavoro dalla produzione al controllo dell’output della macchina facendoci poi pagare dai clienti esattamente quanto prima.

Dunque, valutiamo bene che i miglioramenti apportati siano consistenti. Certamente lo potranno essere per alcuni processi contabili, molto meno per tutte le situazioni dove interviene il giudizio professionale.
Gary Gensler, presidente della SEC, ha inventato il termine «AI washing», per descrivere l’approccio dalle imprese che ricorrono nella loro comunicazione all’AI senza, o con pochi, riscontri concreti e non sono poche le start up fondate sull’AI che, pur avendo raccolto miliardi di dollari in finanziamenti, fanno fatica a far quadrare il conto economico.

Ma soprattutto non contribuiamo a banalizzare il nostro lavoro.
Da un lato piantiamola una volta per tutte di denigrare (e accettare che vengano denigrate) attività come la tenuta della contabilità, la predisposizione di dichiarativi e adempimenti. Sono un servizio importante che consente ai clienti di risparmiarsi un sacco di tempo e di fastidi e, soprattutto, di avere qualcuno a cui rivolgersi qualunque cosa accada. Dall’altro evitiamo di essere i primi a trasmettere la convinzione che quel che facciamo possa essere fatto uguale o meglio da una macchina. Senza contare che un documento prodotto dall’AI si riconosce lontano un miglio.

Non è (ancora) per nulla vero che AI sia in grado di sostituire i professionisti, anche nelle loro funzioni apparentemente più elementari. Coltiviamo piuttosto il rapporto con il cliente, che è la base di tutto. Anche perché, se un mio fornitore non ha tempo per parlare con me e preferisce farmi parlare con una macchina per ridurre i propri costi, perché dovrei preferirlo a chi continua a considerarmi una persona e non solo un conto corrente da tosare?